lunedì 6 settembre 2010

"Non mi hai mai disegnata"

Ora di pranzo, un giorno di dieci anni fa, forse. La nostra casa a Catania. Il soggiorno, la tavola rotonda. Tutti seduti a mangiare. L’ordine è mantenere il silenzio per far parlare il televisore. Papà è seduto in mezzo, alla sua sinistra Sandro seguito dalla mamma, alla sua destra Veronica e poi io. Lo spazio che divide me e la mamma permette a mio papà la perfetta visuale frontale televisiva. Se io voglio guardare la tv, devo girarmi a destra, ma durante la consumazione del pasto io passo quasi tutto il tempo voltata dall’altra parte, in contemplazione di mia sorella. Come ho già fatto altre migliaia di volte.

Il castano lucido dei suoi capelli, le cui onde si raccolgono in deliziosi boccoli. Gli occhi cangianti, di colore verde acqua chiaro trasmutante all’azzurro con una sfumatura di giallo attorno alle pupille e una tonalità più scura sui contorni esterni dell’iride.

La pelle del viso è più rosata sulle guance e sugli zigomi. Il suo volto è disegnato esclusivamente da curve pronunciate e rotondità femminili. Le labbra sono piccole, ma le piccole fossette che le contornano le rendono ammalianti. Il naso è dritto e rotondo sulla punta. Il taglio degli occhi è forse l’unico tratto fisico che ci accomuna. Ma la sua particolare arcata sopraccigliare è del tutto differente dalla mia e le sopracciglia, lunghe e agilissime, le permettono una ricca varietà di espressioni. Ha due minuscoli nei sotto ogni occhio, e altri due ben visibili sulla guancia destra.

Se mia sorella vuole guardare la tv, io posso guardare lei e affondare dentro il suo potente sguardo.

Le ossa possenti e la muscolatura solida, le spalle ampie e le caviglie fini, alcune forme più voluminose in prossimità delle cosce e delle natiche, i movimenti coordinati e la postura ben diritta, la pelle morbida e vellutata, le mani affusolate e perfette, le attribuiscono un aspetto di dea forte e maestosa. E mi fa desiderare di abbracciarla.

Veronica mi guarda dritta negli occhi e mi uccide. “Ti giri?” mi chiede sottovoce, con tono di minaccia. So che questo momento sarebbe arrivato, e d’altra parte per me è un divertimento farla incazzare. Dato il divieto di disturbare papà mentre guarda la televisione, è difficile per lei sbarazzarsi del fastidio. Forse poggerà la forchetta sul tavolo, e poi mi darà un pizzicotto sul braccio. Forse io rincarerò la dose, appoggiando la testa sulla sua spalla o avvicinandomi per darle un bacio sulla guancia. Forse ad un certo punto papà si incazzerà più di tutti e lancerà uno dei suoi bestemmioni.


Una sera di un anno e mezzo fa. “A me non hai mai disegnata” mi dice, dopo aver saputo che ho creato un personaggio a fumetti il cui aspetto è ispirato a una amica, neanche troppo intima. Siamo in videochiamata. Io mi trovo a Pavia e lei al momento abita ad Alicante, in Spagna.


Oggi. Faccio il conto dei mesi trascorsi dall’ultima volta che ho potuto abbracciare mia sorella. Passo metà giornata a rintracciare delle foto con la sua immagine e ad ammirarla. Mi chiedo se mai qualcun altro l’abbia guardata tanto quanto me. Penso che i disegni non potranno mai renderle merito. Vivacità, estro, intensità, orgoglio, radiosità, passione, abilità, rabbia, sensualità, follia, tenerezza, autoironia, generosità, sofferenza, fragilità, prepotenza, dedizione, amore, assennatezza. Di tutto quello che è, non so bene cosa mi manca. Di tutto quello che sono, penso alle decine di volte in cui nessuno ci riconosceva come sorelle, e ancor di più, che fossi io la maggiore. Guardo per l’ennesima volta il post-it giallo che in quindici mesi non si è mai staccato dal muro. “Ciao Soru” – me lo ha scritto lei, quando è passata a trovarmi a Pavia – “volevo ringraziarti e darti tanta tanta energia d’amore” e ancora “Smack tra me e te!!!”. Ha disegnato anche dei cuoricini e una sua piccola immagine.

Nutro la speranza che lei possa riconoscersi nelle mie.