venerdì 9 gennaio 2009

L'anno nuovo....

… a Catania, allo scoccare della mezzanotte, è iniziato in lacrime.
Mi sentivo un’orfana, al cenone a casa di mia cugina Fra… dov’erano tutti i miei familiari?... sparsi ovunque, in Austria, Spagna, e perfino nella stessa mia stessa città: mio papà è andato a cena in un locale, senza di me.
Ad ogni modo, potevo consolarmi con la compagnia di alcuni parenti tanto cari rincontrati dopo anni, il banchetto, e poi la vista dal balcone: una prospettiva su Catania dalle colline della periferia ovest al mare, una visione a campo lungo, che non si può imprimere con un solo sguardo, su cui scoppiettavano ovunque i fuochi d’artificio, pieni di vitalità.
Quattro ore dopo ero appena arrivata ad una megafesta ad un agriturismo a 30 km a sud di Catania. Dopo aver camminato al buio, nel fango, a fianco del mio Giuseppe e insieme ai miei cugini, mi sono ritrovata ad incontrare un mucchio di facce amiche, che hanno fatto esplodere la mia gioia. Ho ballato facendo la buffona insieme a mia cugina Fra. Giuseppe si è un po’ ubriacato e mi ha detto “Ti amo” almeno dieci volte.
Quando ce ne siamo andati, erano le sette e c’era già molta luce. Abbiamo trovato lungo la stradina fangosa una macchina affossata, con alcuni ragazzi che tentavano di tirarla fuori. Giuseppe ha subito avuto un generoso slancio di aiuto e io cercato di richiamarlo, ma dopo due secondi mi sono ritrovata a infilare sotto le ruote anteriori della macchina delle assi di legno e metallo e a dare istruzioni insieme a Fra. Abbiamo dunque spinto, in due riprese, e purtroppo Fra si è beccata uno spruzzo di fango tutto addosso. Quando però la macchina si è liberata, abbiamo esultato insieme a quei sconosciuti: ci siamo abbracciati e ci siamo scambiati gli auguri di buon anno.
Ho assistito ad una bellissima alba, con il cielo terso adornato giusto da qualche nuvoletta qua e là e l’Etna innevato con alcune tinte di rosa dell’anno nuovo.
Lungo la strada, ho notato alcuni cartelli arancioni firmati dal Comune di Catania, con l’augurio di un anno migliore sottotitolato “Ci stiamo lavorando”.
Eh sì, che ci devono lavorare, perché da quello che ho notato la città è peggiorata parecchio negli ultimi tempi: a portata di vista di chiunque, strade dissestate, cantieri con lavori interrotti, spazzatura traboccante, lampioni spenti di notte e criminalità in aumento… Eppure, di giorno, soprattutto all’ora dell’alba, il mio pessimismo sembra mitigarsi.

Durante le vacanze l’atmosfera di Catania ha fatto bene ai miei disegni, e sono riuscita a ispirarmi per alcune pagine di “Prospettive” che mi davano il tormentone. Purtroppo, ahimè, non c’è stato un giorno in cui non ho puntato la sveglia e in cui non volessi dormire di più, fino a quando, negli ultimi giorni, un occhio mi si è molto arrossato. Sono uscita molte volte e ho rivisto tante persone, ma per alcune non ce l’ho fatta, le ho sentite solo telefonicamente, e questo mi dispiace molto.
Ho aspettato a lungo una giornata di sole per andare al mare, e stavo per mancare tutte le mie occasioni: pioveva spesso, oppure il cielo era troppo nuvoloso, o ancora davo per scontato il bel tempo anche nel pomeriggio. Solamente il 6 gennaio, alla vigilia della mia partenza, ho visto l’azzurro del cielo e sono corsa subito a prendere la mia Renault 4. Grazie ad una spericolata guida aggressiva che non rientra nelle mie abitudini, sono riuscita a prendere Fra, andare insieme ad AciTrezza e tornare a casa all’ora di pranzo.
Ho trascorso un paio d’ore splendide, ammirando un paesaggio di quelli che amo in assoluto di più: solo in questi luoghi, riesco a pensare a certe cose, e quell’abile fotografa dilettante di mia cugina è stata in grado di immortalarmi senza che mi si vedessero occhiaie e occhio rosso.

Il 7 gennaio mi sono alzata alle 5.15 per prendere l’aereo delle 7.10 per Roma Fiumicino. Alle 10.10 avrei avuto la coincidenza per Milano Linate, dove, un’ora dopo, mi sarei ricongiunta a Giuseppe, in volo diretto da Catania in partenza alle 9.00.
All’aeroporto, ho trovato un macello. L’Alitalia non mi ha rilasciato la carta d’imbarco per la tratta Roma-Milano a causa dell’allarme meteorologico in prima pagina sui giornali: molto in breve, 40 cm di neve su Milano, aeroporto di Linate chiuso per gran parte della giornata e voli cancellati.
Risultato: io mi sono ritrovata a Roma Fiumicino con i voli Alitalia cancellati almeno fino alle 18 e Giuseppe è rimasto a Catania, perché il suo volo è stato spostato all’indomani. Con Giuseppe abbiamo raggiunto l’accordo di ricongiunzione sul volo Alitalia delle 13.00 da Roma a Milano Linate dell’8 gennaio 2009.
Ho passato una notte a Roma ospite di mio cugino Marcello (uno di quelli con cui avevo trascorso le vacanze a Catania). A lui e a suo fratello Emanuele sono molto affezionata, avendo condiviso un po’ di infanzia: prima di andare a dormire, Marcello ha aperto una scatola piena di foto che non avevo mai visto, e li ho ritrovati da piccoli, in un’epoca di mirabolante fanciullezza che ha edificato le nostre fondamenta come persone. È stato incredibile…

L’indomani, che poi è stato ieri, verso le dieci ho ricevuto una telefonata da parte di Giuseppe che mi annunciava “Il nostro volo è confermato per le 13.00. Ho la carta d’imbarco. Hanno imbarcato il mio bagaglio. Arrivo a Roma a mezzogiorno, ci vediamo direttamente al gate d’imbarco.”
Quando sono arrivata all’aeroporto, sono rimasta terrorizzata da un desolante spettacolo: tutti i banchi di accettazione Check-In di Alitalia erano chiusi e c’erano centinaia di persone in fila per chiedere il rimborso del biglietto. Cosa stava succedendo?... Uno sciopero o, come era scritto sui tabelloni, un’”assemblea” del personale dell’aeroporto addetta, per esempio, alle operazioni di carico e scarico dei bagagli. I tipi dell’Alitalia continuavano a dirmi che i voli sarebbero ripresi a partire dalle 16, e comunque, finché non si riaprivano i banchi di accettazione, io non potevo imbarcare il mio bagaglio. Ho subito ricontattato Giuseppe, comunicandogli l’imprevisto: era troppo tardi, ormai stava per salire sull’aereo da Catania.
Quando è arrivato a Roma, mentre io continuavo a monitorare la situazione ai banchi di Check-In, Giuseppe ha chiamato una sua parente che lavora per Alitalia. Nel momento in cui ci siamo risentiti telefonicamente, eravamo di fronte ad un’inspiegabile paradosso:
GIUSEPPE – Paola, qui ci stanno imbarcando. Il volo non è stato cancellato, solo che parte alle 13.30.
PAOLA – Certo, me lo hanno spiegato che ufficialmente il volo non è cancellato, ma qui i check-in sono tutti chiusi, quindi è come se lo fosse.
GIUSEPPE – Senti, come te lo devo dire? Mia cugina che lavora per l’Alitalia mi ha confermato che il volo c’è… Io sto andando al gate A24…
PAOLA– Ma io ho sono davanti al check-in! È chiuso!
GIUSEPPE – Io parto.
PAOLA – E parti, parti!!! Tanto, non ti fanno partire!...
Alle 13.10 io ero ancora davanti al check-in. Da lontano, ho visto una signorina Alitalia avvicinarsi al bancone. Ci sono andata e le ho spiegato la situazione con Giuseppe in linea sul cellulare. Nel frattempo, è arrivata una sua collega. Finalmente, dopo che si è insinuato il dubbio, è iniziato uno scambio di telefonate fra impiegati Alitalia che ha portato alla comunicazione effettiva di quello che stava succedendo al gate A24. Davanti ai miei occhi, hanno riattivato i macchinari per imbarcare il bagaglio, e finalmente mi hanno dato la carta d’imbarco.
Appesantita dal mio bagaglio a mano (circa 10 chili distribuiti in tre borse) sono schizzata verso il gate A24. Ho corso come una disperata, ho violato la legge caricando un carrello sulle scale mobili per trasportare i miei pesi, ho corso ancora più veloce fino a rimanere senza fiato, e a un certo punto ho anche sentito che gli altoparlanti chiamavano il mio nome.
Alle 13.30 ho abbracciato Giuseppe, sull’aereo: io sfinita, sudata e mezza isterica, lui tranquillo, elegante e quasi scostante, a causa del mio “falso allarme” che gli aveva procurato solo seccature… Lo sciopero era terminato da pochi minuti, così l’aereo era quasi vuoto e siamo partiti con più di un’ora di ritardo.
A Milano Linate, io e Giuseppe abbiamo aspettato inutilmente 2 ore il nostro bagaglio e alla fine entrambi fatto denuncia di smarrimento.
E non è finita!!!... A causa del maltempo, anche i treni hanno subito ritardi, così siamo arrivati a Pavia verso le otto di sera. Ma questo è il meno…
Quando abbiamo aperto la porta di casa, abbiamo riscontrato stranamente un freddo glaciale. Com’era possibile, se ero sicura che, prima di partire da Pavia, il 22 dicembre, avevo lasciato i termosifoni accesi?... Semplice! Me li ero dimenticati spenti!
Abbiamo passato la serata a morire dal freddo, con addosso coperte, cappelli, e la terribile sensazione che tutto fosse andato in tilt: dopo aver riacceso il riscaldamento, continuavamo a non vedere nessun cambiamento, anzi, ci stupivamo di vedere la “nuvoletta del freddo” quando respiravamo. Vedevo Giuseppe tremare, starnutire e soffrire. Tutta colpa mia. Che deficiente totale. Non riesco a crederci, come posso essermi convinta di aver fatto qualcosa di tanto importante, che invece non ho fatto per niente.

Stamattina Giuseppe mi ha svegliato alle 6.15 perché gli avevo promesso ci aiutarlo a lavarsi i capelli prima di andare a scuola. La casa era ancora congelata, e per questo era nervosissimo, e ha iniziato a ventilare a voce alta di tutte le possibili disgrazie in conseguenza della mia distrazione: tubi del riscaldamento spaccati, migliaia di euro di danni, notti da passare in albergo a causa del freddo insopportabile… So che la mattina è sempre un po’ irascibile, ma la situazione era davvero grave. Io ho promesso di rimanere a casa (ho dovuto saltare il lavoro anche oggi) per risolvere il problema.
Alle 9.15, dopo aver raccolto vari altri suggerimenti, ho telefonato al tecnico del riscaldamento che tra l’altro aveva fatto la manutenzione proprio il 22 dicembre. Al telefono, mi ha spiegato quello che dovevo fare per riattivare l’impianto. In diretta telefonica, ho girato una piccola manopola nera, sotto la caldaia. La lancetta dell’idrometro, coordinata a quella del termometro, ha iniziato a salire, e al livello 1,2 ho chiuso la manopola. Pochi minuti dopo, sgorgava dal rubinetto di nuovo l’acqua calda, e dai miei occhi una lacrimuccia di contentezza. Ho ringraziato animosamente il tecnico e ho chiuso il telefono. Verso le 9.30, i termosifoni hanno cominciato a riscaldarsi.
Ho chiamato immediatamente a Giuseppe per dirgli tutto, e anche lui ha potuto tranquillizzarsi.

Almeno per ora… Sospiro!

2 commenti:

Unknown ha detto...

forza e coraggio! non puo' piovere per sempre!

paola cannatella ha detto...

Oh, grazie Carmelotto...
... Comunque le cose vanno migliorando... (le valigie ce le hanno riportate)
Un abbraccio!