
lunedì 5 settembre 2011
Vorrei parlare, vorrei parlare...

venerdì 29 luglio 2011
Mezzo mondo

Croazia, Serbia, Bosnia, Israele, Giordania, Iraq, Afghanistan, Pakistan, Algeria, Benin, Burkina Faso, Burundi, Congo, Costa D’Avorio, Egitto, Etiopia,
Guinea-Bissau, Kenya, Libia, Nigeria, Ruanda, Senegal, Sierra Leone, Somalia, Sudafrica, Uganda.
Ho controllato più volte i Paesi dove ha lavorato la protagonista del mio fumetto, e temo sempre che me ne sia sfuggito qualcuno.
Io ne avrò per tutta l'estate, e almeno fino a metà settembre non potrò schiodarmi da Pavia per portare a termine le tavole.
Un felice contrasto con lo stile di vita della mia eroina, in giro per mezzo mondo, in contatto costante con le persone. In cerca di storie.
L'immagine che ho postato rappresenta un folto numero di pakistani armati, pronti a partire per l'Afghanistan per la jihad, la guerra santa.
Buone vacanze
venerdì 13 maggio 2011
Kabul
martedì 8 marzo 2011
Bilbolbul, pensieri+disegni+parole

Da un paio di settimane si sono incrociati alcuni elementi di favore che hanno permesso a me e a Giuseppe di dedicarci insieme e assai intensamente al progetto del fumetto TOP SECRET. La protagonista del nostro fumetto è una donna che ha vissuto fino a 39 anni, e ha lavorato almeno in numerosi paesi in crisi a causa di guerre, genocidi o il mancato rispetto dei diritti umani. Noi l’abbiamo conosciuta dopo, per questo, al fine di darle un volto più fedele o onesto possibile abbiamo bisogno delle testimonianze di persone che le sono state vicine nella vita.
Abbiamo così iniziato a rintracciare numerosi personaggi, prendere appuntamenti, predisporre ripetute scappate a Milano, inviare mail per comunicare con i nostri interlocutori in Svizzera piuttosto che in Israele, pianificare un viaggio a Roma e uno a Catania, ascoltare i racconti e assistere alla vivacità dei ricordi, tutto da concludersi entro la fine del mese. Le mie giornate si sono scosse e il mio sonno si è fatto inquieto, ma mi sono sentita anche accendermi per quel pensare e fare.
La sera del venerdì 4 marzo, l’idea di andare al Bilbolbul, riapparsa quasi casualmente, è parsa a me e a G sotto una luce nuova. Da Pavia, che ci vuole ad andare a Bologna, senza dissanguarci troppo e goderci per un po’ di tempo le mostre e gli incontri del Bilbolbul?... Domani, subito dopo pranzo, prendiamo la macchina, posteggiamo alla stazione di Stradella, prendiamo un treno regionale con cambio a Piacenza, passiamo una notte in un alberghetto al centro, e domenica sera torniamo a casa…
Sul treno, G mi chiede se ho stampato il programma del festival. No, gli rispondo, ma ho spulciato il sito internet, e poi figurati, è la quarta volta di fila che ci vado, so come funziona.
Quando arriviamo alla sala borsa, sono le 17, più o meno. Quando inizio a sfogliare il libriccino del programma, ho la sensazione che ci sia qualcosa di diverso rispetto al sito internet per quanto riguarda le mostre. Lo sfoglio e lo risfoglio, e capisco che mancano le informazioni e le immagini delle mostre off che avevo visto sul sito internet…
Alla sala borsa, abbiamo ascoltato la voce di Vittorio Giardino. G non lo aveva mai sentito prima… Ed eccola, ancora una volta, la sensazione di una grande persona dietro un grande fumetto: rimango impressionata dal suo approfondito interesse per alcuni particolari relativi ai suoi argomenti storici prediletti, e il gioco delle innumerevoli citazioni di frasi e personaggi presenti in altre opere letterarie. Un esempio, come sempre.
Dopo una breve partecipazione all’inaugurazione della mostra Emboscadas, passiamo la serata con un nostro amico bolognese, Francesco Busacca, presenza fissa ai Portopacchio estivi. Conosciamo il quartiere di Via del Pratello, le ore trascorrono così piacevoli, folli e divertenti che non rimpiango affatto di aver mancato la serata col Bilbolbul.
La mattina dopo, la nostra prima tappa è il Museo Archeologico, con le mostre di José Muñoz e Vanna Vinci. Innanzitutto scopriamo che dal 1 marzo, il biglietto di ingresso ai musei civici di Bologna non è più gratuito… Un’altra mostra del Bilbolbul “gratuita, ma inserita all’interno di un museo che prevede il pagamento del biglietto d’ingresso di 4 euro” – così ci spiegano al desk - sarà quindi quella del Teatrino dell’Ebbrezza, al Museo della Musica.
Le mostre al Museo Archeologico sono di alto livello, come sempre, anche se quelle degli anni passati mi avevano emozionato di più. Ad ogni modo, ti fanno venire voglia di comprare e leggere i fumetti degli autori in mostra e fare la fila per una dedica, alla sala borsa.
Cerchiamo José Muñoz, e lo troviamo appunto con una fila di persone che attendono il proprio turno, ognuno con un biglietto numerato in mano. Accanto a lui troviamo anche David B. che invece non ha libri da disegnare. Allora G dice “Ma no, povero… compriamo un suo libro!”
Il mio G, quanto lo amo. Mentre lui va a comprare qualcosa nella bancarella della sala io resto lì – circa tre minuti – e vedo arrivare un ragazzo a chiedere una dedica a David B.
Quando G torna indietro, sono già in due ad aspettare la dedica. David B., con la sua consueta ironia, dice “No, se vi mettete a litigare non disegno più”…
Alle 14,30 ci sediamo alle poltroncine in terza fila per seguire la tavola rotonda con José Muñoz, Luca Raffaelli, Matteo Casali e Nicola Peruzzi. Si parla della scrittura a fumetti, sulla base dei saggi dedicati ai grandi maestri della sceneggiatura Héctor Oesterheld e Grant Morrison.
José Muñoz racconta di un aneddoto risalente al più o meno al 1959, quando aveva poco più o meno 17 anni. Mentre le sue parole scorrono fluide e veloci - in lingua italiana con una leggera venatura spagnola - fa girare fra le sue mani una piccola matita, e sembra fissare una finestra sul passato. Il suo racconto mi fa vedere la casa di Oesterheld, sento le risate delle sue quattro bambine, e poi vedo anch’io il “tempio”: questa stanza il cui pavimento è ricoperto da libri, ci sono così tanti libri da ricoprire i tappeti, e il vento da una finestra fa frusciare le pagine, come se fossero foglie di alberi. Il giovane José, in punta di piedi, trova il maestro e gli consegna le sue nuove tavole a fumetti. E non dimenticherà mai più quel giorno.
Ogni volta che sono stata al Bilbolbul, non è mancato mai il momento in cui rimango incantata dalle parole di un grande autore di fumetti. Immagino che dietro un autore eccezionale non ci sia sempre una bella persona, e quella che per me è una persona straordinaria per altri è una testa di cazzo. Però cerco di non mancare mai al Bilbolbul, per cercare di trarre esempio e ispirazione, mantenendomi a una certa distanza di “sicurezza”. Per questo, in fondo, un vero “maestro” non l’ho mai avuto, ma tanti autori e tanti libri che amo.
L’ultima tappa del nostro viaggio è la mostra di Grazia Nidasio, “Questi Grandi Amori”: ecco dei minicomic di quattro, sei tavole o più… ed è possibile ammirare le sbalorditive tavole e contemporaneamente leggere le storie dall’inizio alla fine, minuziose, complesse, sagaci e spassose. Mi sono divertita a leggere la storia di Gabriele D’Annunzio e la marchesa di Rudinì, e quella di Jacqueline Kennedy Onassis e “LUI” (il DENARO).
Grazia Nidasio non l’ho mai né vista né ascoltata, ma è considerata una delle più importanti fumettiste italiane, e abita a Certosa di Pavia. Guarda un po’...
lunedì 31 gennaio 2011
Biutiful

martedì 25 gennaio 2011
La storia del portafoglio
Certo, ho avuto alcuni decisivi intervalli, ovvero: le vacanze estive siciliane; un matrimonio in data 11 settembre a Catania; una piovosa Lucca Comics; una vacanzina ad Alicante a fine novembre, a beccare in un colpo solo sorella e fratello; le vacanze di Natale, trascorse sempre in Sicilia.
Ad ogni modo, il mio stile di vita si è fatto sempre più casalingo, con una media di dieci ore di lavoro al giorno. E ogni tanto ci sono anche le urgenze. Non a caso, con mio sommo dispiacere, ho dovuto trascurare il blog: quante volte, ho iniziato a disegnare qualcosa, ho avuto l’idea per un post ma non c’è stato tempo per sistemare tutto in modo leggibile, fino a quando mi è sembrato assurdo raccontare qualcosa accaduto una settimana prima.
Il lavoro che mi tiene tanto impegnata è in primo luogo il fumetto TOP SECRET, il nuovo graphic novel, a cui sto lavorando insieme a Giuseppe… Il “nostro” fumetto.
Poi, ci sono i fumetti degli altri: le attività di impaginazione, computer lettering e lettering a mano, gli adattamenti - sulle immagini che comprendono scritte in lingua straniera, che devono essere trasformate e adattate alla lingua italiana (es. insegne e poster) – e talvolta anche la grafica degli interni e della copertina.
Appunto, dallo scorso giugno ho avuto un incremento di collaborazioni per i fumetti degli altri. È un lavoro che mi piace, poiché mi permette di osservare da vicino autori diversi, spesso con la soddisfazione di aver conosciuto in modo speciale un bel libro, e a volte un capolavoro.
D’altra parte, fino a quanto i libri non vengono pubblicati, la riservatezza è d’obbligo: così, parlo soltanto adesso del fatto che ho iniziato a collaborare anche con Rizzoli Lizard, curando gli interni della nuova edizione di Blankets, e svolgendo un lavoro al completo – copertina compresa – di Garibaldi e di Li Romani In Russia, un graphic poem (non conoscevo questo termine prima di averlo letterato) che mi ha stupito e commosso.
A metà ottobre ho corso il rischio di iscrivermi a un corso breve di illustrazione alla scuola di fumetto del Castello Sforzesco di Milano. Il mio piano era di migliorare le mie qualità di disegnatrice, concentrandomi sulla forza di un’unica immagine, e acquisire un po’ di sicurezza nell’uso del colore. Inoltre, la frequenza del corso – per me, lunedì e martedì h 20/22 - avrebbe dovuto costringermi a uscire di casa verso le 18.30, prendere il treno, la metro e poi l’autobus fino alla scuola. Dunque, uscire un quarto d’ora prima del termine delle lezioni, fare una corsa fino alla metro, e pian piano tornare a Pavia, entro le 23.
Infine, a volte avrei potuto sfruttare l’occasione dell’andata a Milano per sbrigare qualche eventuale altra faccenda, solitamente di lavoro.
Il rischio sempre pronto dietro l’angolo era che fossi troppo impegnata o esausta per recarmi al corso, per non parlare delle assenze dovute ai miei spostamenti per Sicilia & co. Come volevasi dimostrare, mi sono assentata spesso per urgenze di lavoro, mentre se ero SOLTANTO esausta ma abbastanza libera da altri impegni, di solito facevo uno sforzo e andavo a Milano.
Di fatto, a volte ho creduto di essere diventata una sorta di semidisadattata alla vita fuori da casa mia, ma non mi sono mai fatta sopraffare da questa sensazione.
Tranne una volta, lunedì scorso. Questa sarà la volta che racconterò di notizie non esattamente “fresche”…

Lunedì 17 gennaio sono uscita di casa un po’ prima del solito, per un appuntamento di lavoro a Milano PRIMA del corso di illustrazione. Ero rimasta incollata davanti al monitor del computer fino all’ultimo momento, avevo buttato dentro la borsa anche il mio beauty case tascabile e poi ero schizzata via alla stazione di Pavia a prendere il treno delle 16.35. Sono passata dall’edicola della stazione, ho acquistato due biglietti ferroviari e un giornaliero per la metro, tenendo contemporaneamente fra le mani guanti, cappello e portafogli, ma assicurandomi di non farmi cadere nulla dalla borsa. All’ora stabilita, il treno è partito puntuale. Io stavo seduta, in uno scomparto molto stretto, a riprendere fiato e a congratularmi con me stessa per avercela fatta ancora una volta a non perdere il treno. Come spesso mi capita, ho tirato fuori uno dei miei piccoli album da disegno “da viaggio”, ma poi ho deciso anche di cercare fra i miei appunti del corso che cosa avevamo fatto il 13 dicembre – avevo alle spalle 4 assenze di fila.
Quando il treno è giunto a Milano Rogoredo, sono passata dal bagno della stazione per pettinarmi e truccare un po’ i miei occhi stravolti. Poi, sono uscita dal bagno e, continuando a camminare in direzione della metro, ho cercato nella borsa il portafoglio, con l’intenzione di recuperare il biglietto.
Niente.
Una vampata di calore sulle guance. Mi fermo, controllo meglio.
Niente.
Torno subito in bagno, niente. Già che sono lì, svuoto la borsa di Mary Poppins da tutto il suo contenuto – appunti, album, portacolori, gomme, due cellulari, beauty case, bottiglietta d’acqua, chiavi di casa, portatabacco, occhiali da sole, hard drive (per il mio appuntamento di lavoro) – e capisco che manca per certo il portafoglio all’appello.
Comunque, quando esco dal bagno ancora non posso crederci, così svuoto d’accapo la borsa su una panchina, e allora mi capacito definitivamente che ho perso il portafoglio.
“Dev’essermi caduto sul treno. Sono sicura di averlo rimesso nella borsa, quando ero ancora Pavia… o no?”
Vado a cercare qualcuno del personale delle FS che possa aiutarmi a rintracciare il treno da cui sono scesa, diretto a Milano Centrale. Attraverso una finestrella vedo un impiegato seduto alla scrivania, con computer e tabulati su cui è assorto. Busso, faccio segnali, forse ispiro pietà. L’impiegato si alza, è un uomo alto con i capelli brizzolati e gli occhiali, il cui aspetto mi ricorda vagamente Sergio Brancato, un critico di fumetti. Dopo avergli spiegato la situazione, lo vedo muoversi con pacatezza ma determinazione, contattando qualcuno a Milano Centrale che possa controllare i vagoni del treno incriminato.
Abbassa la cornetta del telefono, mi comunica che lo richiameranno a minuti.
“Può andare in sala d’attesa, Le faccio sapere appena possibile…” i suoi modi sono sempre cordiali ma temo la mancanza di un suo coinvolgimento emotivo.
“No, grazie, non ho freddo, preferisco rimanere qui” fuori, con la nebbia che mi impedisce di vedere con chiarezza, mi fumerò una sigaretta per calm
armi e farò finta di non spiare le sue mosse.
“Sì, ma scusi, la finestra devo chiuderla, c’è corrente”.
Aspetto. Nel frattempo, nella mia testa faccio il punto della situazione. “Con me ho solo un biglietto del treno già timbrato. Che faccio se non trovano il portafogli? Secondo me, comunque, non lo troveranno. È troppo facile che l’abbia già preso qualcuno. Due sono le possibilità: o l’ha trovato un disgraziato o un’anima pia. Nel portafoglio ci sono i miei biglietti da visita col numero di cell. Solo nel caso l’abbia trovato l’anima pia, riceverò una telefonata entro quindici minuti, sennò addio documenti e bancomat. I soldi, chissenefrega, erano solo trenta euro.”
Attraverso la finestrella, vedo l’impiegato rispondere al telefono, e poi voltarsi verso di me con uno sguardo che lascia poco alla speranza. Abbassa di nuovo la cornetta, mi dice qualcosa scuotendo la testa, muovendo le labbra e facendo gesti, poi torna a lavorare. Nessuna buona notizia, è ovvio, ma io non capisco il labbiale. “Che cos’è che ha detto? Mi ha comunicato che non hanno trovato niente, e adesso torna alle sue scartoffie come se io non esistessi più?... Ma come si fa una cosa del genere? Bè, qui a Milano è possibile… Ma no, non ci credo!...”
Rimango indecisa sul da farsi per qualcosa tipo un minuto, poi busso di nuovo. Il tipo si alza, apre la finestra, e mi spiega che gli hanno detto di pazientare ancora un po’, stanno cercando il portafogli, telefoneranno ancora fra qualche minuto.
“Sono una disadattata” ecco che arriva l’ondata dei pensieri inutili “Sto a casa dalla mattina alla sera per giorni, e appena esco combino delle cazzate. Finalmente avevo guadagnato qualche ora di tempo libero fra oggi e domani, e ora faccio questa stronzata di perdere il portafogli. Ma perché? È una punizione? È un segnale? Devo riflett
ere su come gestisco la mia vita?”
Non avevo perso il portafogli, prima di quel giorno. Certo, me l’avevano rubato, due volte, a Catania. La prima, fra la folla delle bancarelle della fiera, sfilato dalla borsa. La seconda volta, la borsa mi fu scippata, una sera mentre ero a passeggio in via Crociferi, da due tipi su un motorino. In entrambi i casi fui molto fortunata, perché il maltolto venne ritrovato. Nel primo caso, il portafoglio era stato infilato dentro una cassetta dello scarico dell’acqua, in un bagno di un bar vicino alla fiera. Nel secondo caso – incredibile! – la borsa venne ritrovata da un’amica di Giuseppe: eravamo andati a cena a casa di questa ragazza, e lei aveva notato la mia borsa. Qualche giorno dopo, la riconobbe, per terra, davanti al portone, abbandonata dai rapinatori, che avevano preso soltanto soldi e cellulare. Quando arrivai anche io sul posto, riuscii a ritrovare perfino la scheda del cellulare.
“Signorina, mi spiace” l’impiegato interruppe il flusso di ricordi “Non hanno trovato niente”.
Ecco, la fortuna nella sfortuna doveva finire, prima o poi. Con molta dignità, cercai di raccogliere le forze per ringraziare, comunque. Poi, però, c’era il problema che ero completamente a secco. Chiesi all’impiegato la cortesia di un prestito di appena dieci euro, con la promessa che glieli avrei restituiti l’indomani. L’anima pia si rivelò per quello che era veramente, e mi diede una banconota da venti, senza volere né nome né numero di telefono.
Congendandomi con tante altre belle parole, me ne sono andata al mio appuntamento di lavoro.
Durante il breve tragitto, continuavo a sentirmi davvero l’essere più inetto della Terra. Appena possibile, ho chiamato Giuseppe. Era già passata circa un’ora. Anche lui, nel suo piccolo, mi ha aiutata, recandosi alla stazione di Pavia per testare i colpi di fortuna su quel fronte, invano.

Ero alla sede della ReNoir, a consegnare un lavoro di lettering. “Finisco qui e poi vado personalmente a Milano Centrale, chissà…” pensavo, quando mi squilla il cellulare. Il numero era sconosciuto, rispondo. “Parlo con Paola Cannatella?” ascolto una voce femminile con uno strano accento, che mi ha fatto supporre - mi vergogno un po’ a dirlo - che fosse straniera. Ad ogni modo, il cuore mi è balzato, sapevo cosa stava per dire. “Ho trovato il tuo portafogli”!
Era una madre di famiglia, originaria di Agrigento. Si chiamava Milena, ed è balzata in cima alla lista delle anime pie incontrate nella mia vita. Aveva trovato il mio portafogli per terra a Gallarate, in provincia di Varese. A parte i soldi, c’era tutto.
“Lasci il tuo numero di cellulare nel portafogli?” mi ha chiesto Giuseppe, quando gliel’ho comunicato.
“Sì, certo, così se qualcuno lo trova…”
“Ma non si deve fare. E se poi ti capita un pazzo che inizia a tormentarti di telefonate?... Una volta, a mia madre è successo. Ha perso il portafogli, e c’era questo tipo che la chiamava e la insultava…”
Ma io continuerò a fare come ho sempre fatto.
Il giorno dopo, io e la signora Milena ci siamo incontrate fugacemente alla stazione di Gallarate, a ora di pranzo. Teneva per mano una bambina più o meno di sette anni, e nell’altra mano stringeva il mio portafogli da uomo. Non ho potuto offrirle neanche un caffè, è dovuta andare via dopo un minuto.
Dopo, è stata la volta dell’impiegato alla stazione di Milano Rogoredo, a cui ho restituito i soldi che mi aveva prestato. Quando gli raccontai la storia della signora di Agrigento, lui mi disse che era originario della Calabria, accompagnandosi con una delle superfrasi tipiche di noi emigrati: “Se non ci aiutiamo fra di noi, che siamo del Sud…”
Sul treno, iniziai a disegnare a matita i volti dei miei due infarti. Nei giorni successivi, li ho ripassati a penna e li ho colorati, così, per allenarmi un po’ col colore. Non pensavo fino a stamattina, che li avrei messi sul blog. Ma si deve pur iniziare di nuovo a sentirsi meglio.
domenica 26 dicembre 2010
mercoledì 27 ottobre 2010
Con Tunué, a Lucca
Arriverò sabato mattina, il 30 ottobre e ripartirò l'1 novembre. Prevedo poche ore allo stand Tunué - sabato pomeriggio (h 17-19) e domenica (h 10-12 e h 17-19) - e più tempo da dedicare a mostre e incontri. Insomma, i Tunué rimangono punto di riferimento, anche perché per loro ho lavorato al lettering di Octave, Romeo & Giulietta e Rockin'Roads. Da parte loro, i Tunué festeggiano i loro primi cinque anni... forse è per questo che fanno tanto i generosi con questo coupon: chi lo porta a Lucca al loro stand avrà il 20% di sconto.

Il numero 181

lunedì 6 settembre 2010
"Non mi hai mai disegnata"

Ora di pranzo, un giorno di dieci anni fa, forse. La nostra casa a Catania. Il soggiorno, la tavola rotonda. Tutti seduti a mangiare. L’ordine è mantenere il silenzio per far parlare il televisore. Papà è seduto in mezzo, alla sua sinistra Sandro seguito dalla mamma, alla sua destra Veronica e poi io. Lo spazio che divide me e la mamma permette a mio papà la perfetta visuale frontale televisiva. Se io voglio guardare la tv, devo girarmi a destra, ma durante la consumazione del pasto io passo quasi tutto il tempo voltata dall’altra parte, in contemplazione di mia sorella. Come ho già fatto altre migliaia di volte.
Il castano lucido dei suoi capelli, le cui onde si raccolgono in deliziosi boccoli. Gli occhi cangianti, di colore verde acqua chiaro trasmutante all’azzurro con una sfumatura di giallo attorno alle pupille e una tonalità più scura sui contorni esterni dell’iride.
La pelle del viso è più rosata sulle guance e sugli zigomi. Il suo volto è disegnato esclusivamente da curve pronunciate e rotondità femminili. Le labbra sono piccole, ma le piccole fossette che le contornano le rendono ammalianti. Il naso è dritto e rotondo sulla punta. Il taglio degli occhi è forse l’unico tratto fisico che ci accomuna. Ma la sua particolare arcata sopraccigliare è del tutto differente dalla mia e le sopracciglia, lunghe e agilissime, le permettono una ricca varietà di espressioni. Ha due minuscoli nei sotto ogni occhio, e altri due ben visibili sulla guancia destra.

Se mia sorella vuole guardare la tv, io posso guardare lei e affondare dentro il suo potente sguardo.
Le ossa possenti e la muscolatura solida, le spalle ampie e le caviglie fini, alcune forme più voluminose in prossimità delle cosce e delle natiche, i movimenti coordinati e la postura ben diritta, la pelle morbida e vellutata, le mani affusolate e perfette, le attribuiscono un aspetto di dea forte e maestosa. E mi fa desiderare di abbracciarla.
Veronica mi guarda dritta negli occhi e mi uccide. “Ti giri?” mi chiede sottovoce, con tono di minaccia. So che questo momento sarebbe arrivato, e d’altra parte per me è un divertimento farla incazzare. Dato il divieto di disturbare papà mentre guarda la televisione, è difficile per lei sbarazzarsi del fastidio. Forse poggerà la forchetta sul tavolo, e poi mi darà un pizzicotto sul braccio. Forse io rincarerò la dose, appoggiando la testa sulla sua spalla o avvicinandomi per darle un bacio sulla guancia. Forse ad un certo punto papà si incazzerà più di tutti e lancerà uno dei suoi bestemmioni.
Una sera di un anno e mezzo fa. “A me non hai mai disegnata” mi dice, dopo aver saputo che ho creato un personaggio a fumetti il cui aspetto è ispirato a una amica, neanche troppo intima. Siamo in videochiamata. Io mi trovo a Pavia e lei al momento abita ad Alicante, in Spagna.

Oggi. Faccio il conto dei mesi trascorsi dall’ultima volta che ho potuto abbracciare mia sorella. Passo metà giornata a rintracciare delle foto con la sua immagine e ad ammirarla. Mi chiedo se mai qualcun altro l’abbia guardata tanto quanto me. Penso che i disegni non potranno mai renderle merito. Vivacità, estro, intensità, orgoglio, radiosità, passione, abilità, rabbia, sensualità, follia, tenerezza, autoironia, generosità, sofferenza, fragilità, prepotenza, dedizione, amore, assennatezza. Di tutto quello che è, non so bene cosa mi manca. Di tutto quello che sono, penso alle decine di volte in cui nessuno ci riconosceva come sorelle, e ancor di più, che fossi io la maggiore. Guardo per l’ennesima volta il post-it giallo che in quindici mesi non si è mai staccato dal muro. “Ciao Soru” – me lo ha scritto lei, quando è passata a trovarmi a Pavia – “volevo ringraziarti e darti tanta tanta energia d’amore” e ancora “Smack tra me e te!!!”. Ha disegnato anche dei cuoricini e una sua piccola immagine.
Nutro la speranza che lei possa riconoscersi nelle mie.
giovedì 19 agosto 2010
Portopacchio

Ecco alcuni disegnini fatti lì, giorno e di notte.
venerdì 2 luglio 2010
Spazio (ai) Giovani

Tralasciando la scelta della data e dell’orario, già, è un po’ contraddittorio il fatto che l’inaugurazione dello Spazio avvenga a distanza di almeno quattro mesi dall’inizio delle attività, ma il problema è un altro…
Avevo stabilito insieme alle Edizioni O.M.P., collegate all’associazione che mi ha procurato la collaborazione, che al termine del laboratorio si sarebbe prodotto un piccolo album che raccogliesse i minicomic: si tratta di sette fumettini di due tavole, sul tema “Cibarsi non cibarsi nel mondo” (argomento comune anche agli altri laboratori). Le Edizioni O.M.P. lavorano in copyleft, quindi l’album sarà anche messo a disposizione sul loro sito internet per essere scaricato gratuitamente, anche se l’acquisto ha il suo perché. Sarà il volume n° 2 della collana Gurdulù.
Alla fine, nonostante la buona volontà di tutti, mi sono trovata a lavorarci praticamente da sola (copertina, impaginazione, lettering, introduzione, minibiografie dei partecipanti al laboratorio…). Verso metà maggio, l’album era impaginato, mancava l’ISBN che mi è stato circa un mese dopo. Insomma, a quel punto io ero un po’ cotta per i fatti miei e ho pensato di aspettare ancora qualche giorno…
Avendo avuto la comunicazione dell’inaugurazione solo ieri, e dovendo lavorare a Milano (anche domani!) non ho fatto in tempo a ultimare l’album per la stampa, per portalo all’inaugurazione!... Passerà ancora qualche altro giorno prima che venga portato in tipografia. Mi sono arrabbiata molto con me stessa, nonostante l’imprevedibilità dell’evento!… Come fare a sentirmi meglio?
Una cosa folle… sono salita in mansarda (dove, finché non metterò le zanzariere, non posso aprire le finestre e quindi è un FORNO anche con il ventilatore acceso), ho stampato la copertina e tutte le 24 pagine dell’album fronte/retro, ho piegato le pagine, ho forato nei punti giusti con un ago, ho pinzettato e ho rifinito col taglia balse.
Insomma, eccolo qui l’album. Non è esattamente bello come verrà quando sarà stampato in tipografia, un po’ più piccolo anche, ma mi sono un po’ commossa. Ripenso a tutti i ragazzi che hanno partecipato al laboratorio, fino agli ultimi 7 coraggiosi giovani aspiranti fumettisti che hanno aderito al progetto dell’album insieme a me. E che, sinceramente, mi hanno stupito, fino a dove sono saputi arrivare. Ancora una volta, guardo il loro disegni e rileggo le loro storie. Qualcuno di loro sogna già di lavorare con i fumetti.